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I Nostri Viaggi Enduro - Puglia/Basilicata Enduro
   
 
 
 
 
Puglia/Basilicata Enduro
Dicembre 2011

Da diversi mesi stiamo portando avanti con passione un progetto a dir poco ambizioso: un vero e proprio Giro d'Italia Enduro con le nostre due moto, una enduro leggera e una trial-alpinismo. Indispensabile a questo fine è lo studio approfondito delle tappe nelle diverse regioni che attraverseremo, molte ore sui nostri PC e tantissime ore in sella, a valutare di persona la fattibilità delle tracce preparate "a tavolino".
Arrivati al Molise, ora dobbiamo studiare i percorsi in Puglia e Basilicata; due intere settimane di ferie a cavallo delle festività Natalizie ci permettono di considerare fattibile questo nuovo viaggio ed è così che partiamo il giorno della Vigilia con auto e carrello alla volta del sud. Le moto sono pronte da giorni, gli zaini anche, niente tenda questa volta poichè siamo riusciti a prenotare alberghi e B&B lungo tutto l'itinerario; pantaloni e giacche anti-pioggia, qualche barretta energetica d'emergenza, un litro d'olio motore, spray lubrificante per la catena, qualche pezzo di ricambio e tanta voglia di partire, di dare gas e di scoprire nuovi paesaggi, nuovi cibi, nuovi dialetti!

La sera del 24 dicembre dormiamo sul confine fra Molise e Puglia, in un piccolo hotel situato lungo una strada provinciale per nulla trafficata e gestito da una gentilissima coppia di anziani; cena e poi subito a letto perchè domani contiamo di partire all'alba. La stanzetta è ghiacciata e presto i nostri respiri condensano in mille goccioline fredde che non aiutano certo il sonno... inoltre fuori dalla finestra sta succedendo qualcosa che non ci garba per nulla: piove a dirotto... iniziamo bene!
Al mattino piove ancora che è uno spettacolo, il terreno è tutto allagato, il cielo è grigio e basso, fa freddo... ma noi dobbiamo partire e così facciamo colazione in fretta, ci vestiamo di tutto punto, indossiamo subito l'abbigliamento anti-pioggia e tiriamo le moto giù dal carrello. Il padrone dell'hotel segue tutti i nostri movimenti, ci guarda scuotendo più volte la testa, ci domanda se siamo proprio intenzionati a partire e alla fine, vedendoci decisissimi, tutto sconsolato fa un ultimo estremo tentativo "...ma che c'avete la macchina... ma prendete quella!!!". Ah ah ah... ridiamo noi da dentro i caschi... e mentre le mascherine iniziano ad appannarsi tiriamo l'aria delle moto ed ingraniamo la prima. Si parte: pioggia o no abbiamo un obiettivo da raggiungere!
Poche centinaia di metri di asfalto ed imbocchiamo l'oggi fangosissimo tratturo Celano-Foggia; enormi pozze invadono la pista ed in breve abbiamo già i piedi bagnati. Il fango inizia subito ad aggrapparsi alle ruote e rende difficile e lenta la marcia. Cerchiamo il più possibile di procedere sull'erba in mezzo o di lato alla pista nel tentativo di "pulire" i tasselli ma presto questo stratagemma si rivela inutile. L'unico modo è fermarsi al centro delle pozze con fondo di roccia e far girare la ruota posteriore dando gas e tirando il freno, ma come ripartiamo si ricomicia da capo. Dobbiamo rinunciare spesso e optare per stradine asfaltate, almeno fino a quando il fondo del tratturo diventa di pietrisco. Finalmente, anche se continua a piovere, riusciamo a mantenere una velocità migliore ed arriviamo presto in vista del Tavoliere delle Puglie e del promontorio del Gargano, nascosto in parte dalla nebbia.
Sosta per un pranzo veloce a Porto Maggiore, dove il ragazzo che ci serve ci racconta che anche lui ha una moto da enduro, che la tira fuori solo per andare al mare... dove però s'annoia e dunque torna subito indietro!
Al pomeriggio riprendiamo a lottare col fango; decidiamo di togliere il parafango alla Scorpa perchè è troppo vicino alla gomma e si impasta subito impedendo alla ruota di girare; fortunatamente esce un po' di sole così ci sentiamo più allegri! I panorami non sono degni di particolare nota. Seguiamo alcune ghiaiate che ci permettono di pulire un po' le gomme e di avanzare più lesti.
Sul far della sera giungiamo a Lucera, dove abbiamo prenotato una stanza all'hotel Villa Imperiale, un intero palazzo adibito ad albergo, all'interno del quale aleggia una terrificante musichetta natalizia ma anche un buon profumino di pizza cotta nel forno a legna.
Dopo una bella doccia calda usciamo a fare due passi nel centro di Lucera; c'è molta gente per strada, le lucine colorate illuminano ogni angolo, le vetrine dei negozi sono tutte addobbate, un vento gelido ci fa aumentare sempre più il passo alla ricerca di un locale in cui trovare un caldo rifugio... ma ahimè scopriamo che tutti aprono alle otto e trenta... Entriamo così nella grande Cattedrale, costruita sulle rovine di un'antica moschea, ne visitiamo il presepe, percorriamo più volte la navata centrale ammirando gli affreschi e restiamo interi minuti col naso per aria in contemplazione di un organo davvero mastodontico alloggiato sul soppalco.
Quindi arriva il momento per una birra ed una pizza, condite con un'altra terrifcante sequenza di canzoncine natalizie...
Il mattino del 26 partiamo, dopo un'abbondante colazione, alla scoperta del Subappennino Dauno. Subito incontriamo moltissimo fango, ma poi ci rilassiamo seguendo una ghiaiata che passa accanto ad imponenti pale eoliche.
Verso metà mattina, mentre seguiamo una cavedagna sorprendentemente poco fangosa, Taddy davanti a me fa un volo spettacolare... tanto che, dopo essermi sincerata che fosse ancora tutto intero, non ho potuto trattenere le risa fino alle lacrime, dal momento che è "inciampato" in un grosso cesto di vimini, quello di Cappucetto Rosso per intenderci... bellissimo!!
Sul finire della mattinata esce un bel sole ed attraversiamo una zona finalmente graziosa: alla nostra destra corrono infatti file di morbide colline dalla terra chiara, tanto che potrebbero essere scambiate tranquillamente per vere dune di sabbia! Ma la gioia dura poco... la Scorpa infatti inizia ad accusare problemi alla leva del cambio. Ci fermiamo ad Orsara di Puglia, dove c'è uno dei migliori ristoranti delle Puglie ma dove il nostro umore non è al momento quello giusto per questo genere di cose. Un gentilissimo Antonio ci assiste mentre cerchiamo di analizzare il problema: la sospettata numero uno è la molla di ritorno della leva del cambio, dal momento che la leva non ritorna mai nella posizione centrale; ogni volta che cambio marcia devo muovere leggermente la leva fino a riportarla al centro, operazione al quanto complessa dato che nelle moto da trial la leva si trova così distante dal pedalino che si è costretti ogni volta a sollevare il piede dall'appoggio, dare un piccolo colpetto alla leva e poi tornare in appoggio. Finchè sono sull'asfalto si tratta solo di una seccatura, ma quando mi trovo off road diventa un problema; quando si affrontano certi tipi di terreno e di difficoltà c'è bisogno di una moto "pronta", che reagisca istantaneamente al nostro comando, mentre ora risulta tutto più lento e spesso capita di ingranare una marcia non desiderata anzichè riportare semplicemente la leva in posizione centrale. Così non si va avanti... e siamo solo al secondo giorno di viaggio...
Optiamo, dopo una serie di telefonate ad amici di Foggia, di portare domani mattina la Scorpa presso un meccanico: a seconda di quello che ci dirà decideremo il da farsi.
Tutto rimandato al giorno seguente dunque, per ora salutiamo Antonio e seguendo l'asfalto transitiamo per Troia, dove sostiamo in una calda trattoria per rifocillare anima e corpo, quindi ripartiamo in direzione di Lucera, dove giungiamo che il sole sta tramontando. Alloggiamo nuovamente alla Villa Imperiale, e dopo la doccia torniamo in centro, in un locale ovviamente diverso da quello di ieri. Due ragazzi svegli, cordiali e molto disponibili ci regalano una bella serata e ceniamo molto bene con carne alla griglia ed ottima birra belga.
Il 27 dicembre ci vede impegnati nell'avvicinamento su asfalto alla città di Foggia, dove giungiamo verso le dieci. Andiamo direttamente da Antonio Colecchia, il miglior mecca che potessimo trovare a Foggia e sono certa non solo! Persona squisita, dopo aver compreso la nostra situazione ci prende immediatamente in simpatia e molla qualsiasi lavoro inziato per dedicarsi unicamente a noi! Pulisce dal fango il motore poi apre il carter sul lato destro, noi sbirciamo curiosi pensando di trovare frammenti della molla sparsi qui e là... ed invece la molla è lì, davanti al nostro naso, nera e lucida, perfettamente integra. Antonio capisce subito qual'è il reale problema, prendendo fra le dita un frammento di alluminio: si è rotto il carter, nel punto in cui una sorta di "vulcanello" di fusione teneva in sede il perno che si va a collocare al centro della molla; non essendo più nella sua sede questo perno, la molla non riesce a tornare nella posizione centrale. Accidenti, il guaio è addirittura più grave di quello che avevamo pronosticato; se infatti era impossibile trovare la molla di ricambio - a Foggia non si trovano pezzi di ricambio, parola di mecca - ora ci troviamo di fronte ad un'altra spinosa questione: a Foggia nessuno salda l'alluminio... Come fare dunque? Si richiude tutto e si torna a Bologna? Fine dell'avventura? Oppure si prosegue scancherando con la leva che non rientra mai in posizione? Non sia mai detto che si lascia a piedi un motociclista... Antonio ci stupisce esclamando senza esitare: "In qualche modo dobbiamo risolvere". Sfida accettata dunque... via! si parte con la ricerca di un'idea che sia il più possibile definitiva, senza ricorrere a saldatori.
Nel giro di qualche minuto questo mecca davvero speciale escogita un modo per sistemare la Scorpa e farci ripartire con il nostro progetto di viaggio: fora il centro del vulcanello rotto, poi attraverso il foro situato a fianco, dove passa il perno della leva del cambio, fa passare un filo di ferro con incollato in cima un dado, attraverso il foro centrale al vulcanello fa passare una vite dopo aver naturalmente filettato il carter nello stesso punto, sistema un secondo dado esternamente e dentro di esso alloggia un perno più lungo rispetto all'originale, affinchè vada in battuta sulla parete del carter quando lo andrà a chiudere. L'idea è geniale ma la procedura per concretizzarla è lunghissima e delicata e deve essere portata avanti con una precisione quasi centesimale. Infatti, dopo quasi sei ore ininterrotte di lavoro - Antonio non si è allontanato dalla mia moto praticamente mai, non ha nè bevuto nè mangiato nulla - i primi due tentativi risultano non precisi, per via dell'allineamento non perfetto del perno. Ma Antonio non si perde certo d'animo e con la sua grinta pacata, la passione e la determinazione che ne completano il carattere, alla fine ottiene il risultato sperato e finalmente si richiude il carter, si rimette l'olio e si prova la moto per una Foggia ormai buia. Sono infatti trascore ben otto ore da quando Antonio ci ha detto che potevamo contare sul suo aiuto... noi siamo felici come bambini e restiamo allibiti dalla cifra veramente bassa che Antonio ci chiede per un'intera giornata di lavoro!! Mitico mecca, non ti scorderemo mai... averne di meccanici così anche a Bologna... dove l'unica soluzione che siamo certi ci avrebbero prospettato sarebbe stata quella di sostituire l'intero carter, se non addirittura la moto!!!
Un abbraccio affettuoso ad Antonio ed una stretta di mano alla decina di persone occorse per curiosare o dare una mano... e siamo pronti per una bella serata serena coi nostri amici foggiani! Grandi risate e spassosi racconti intorno ad una tavola riccamente imbandita in nostro onore, un'ospitalità clamorosa, momenti sinceramente impagabili!!
La mattina del 28 dicembre ci vede in marcia su fangosissimi tratti di campagna; dobbiamo rinunciare spesso e tornare indietro, ma fortunatamente splende un magnifico sole anche se la temperatura resta molto bassa. Siamo letteralmente ricoperti di fango, noi e le moto: i colori di sella, serbatoio e abbigliamento si celano ormai sotto uno spesso strato di fanghiglia marrone, i guanti scivolano sulle manopole, gli stivali scivolano sulle pedane, il sedere scivola sulla sella, le gomme scivolano sul terreno. In un paesino una signora anziana dice al nostro passaggio: "Ma quei due sono andati a fare la guerra?"... e perchè mai... siamo solo un pochino infangati signora, ah ah ah...
Pranziamo in un anonimo bar a Rionero in Volture, vicino a Venosa, dove mi straffogo di cornetti caldi alla nutella, da urlo! Quando ripartiamo, un signore ride: "Ma quelle non sono moto... sono rottami!!"... Poco dopo, mentre facciamo rifornimento alle moto, un altro signore ci guarda perplesso e poi chiede: "Se vi attacco l'aratro... mi andate ad arare il campo??" Nel pomeriggio, poi, un ragazzetto ciccione si ferma davanti alla Scorpa e, con la bocca tutta storta, inorridito dice: "...sta cosa fa schifo..."... ehi ragazzi, ora basta coi complimenti, altrimenti ci montiamo la testa!!!!!
Nel pomeriggio le piste si fanno più scorrevoli e grazie al cielo incontriamo qualche bella mulattierina rocciosa. Verso le sedici e trenta, quando il cielo si sta lentamente tingendo di un rosso spettacolare, entriamo nella piccola e graziosa Spinazzola, dove il gentilissimo gestore del bar Saraceno ci apre la porta di fronte al bar stesso... e fa accomodare i nostri ronzini direttamente in casa! Che bello dormire con le moto di fianco!
Dopo la doccia usciamo a passeggiare per le stradine della parte vecchia del paese, tutti stretti nelle nostre giacche a vento, perdendoci apposta fra i vicoli... e ritrovandoci comunque sempre di fronte al fotografo! Birrozza in un bel pub poi ottima cena al bar Saraceno, con spaghetti agli scampi davvero speciali.
Al mattino, quando ancora il sole non è comparso all'orizzonte, mentre ci prepariamo per partire il gestore del bar ci fa una proposta: essere intervistati per il sito spinazzola.online.it che lui stesso gestisce. E perchè no... per noi è una novità, e se può servire a far capire alla gente che l'enduro può rappresentare anche una forma di turismo per questi paesi, ci sentiamo utili oltre che lusingati! Così parliamo, raccontiamo e scherziamo davanti alla telecamera mentre finiamo di vestirci, poi accendiamo le moto (per fortuna la Scorpa, che fa sempre una fatica micidiale a partire quando è fredda, oggi non fa troppe storie) e partiamo dando qualche sgasatina, come espressamente richiestoci dal piccolo pubblico che si è raccolto nel frattempo intorno a noi!
Si parte dunque, sotto un cielo che si fa progressivamente più chiaro, ed incontriamo subito belle ghiaiate scorrevoli. Ci avviciniamo ad un lago che costeggiamo seguendo tracce di altri enduristi ed osservando incantati le colline specchiarsi in modo molto nitido sulla superficie calmissima dell'acqua. Lasciatoci alle spalle il lago proseguiamo in direzione del confine con la Basilicata, regione che ci accoglie con un'immensa distesa di campi coltivati a perdita d'occhio, adagiati su un numero infinito di morbide colline solcate da belle piste, sul fondo delle quali si legge il passaggio continuo dei mezzi agricoli. Questa campagna è cosparsa di una miriade di casette tutte assolutamente identiche, a due piani, con un balconcino ed un portichetto, tutte rigorosamente abbandonate. E' incredibile, non sembra vero, queste case sono davvero tutte identiche, sembrano fatte con uno stampino; ci proponiamo di chiedere spiegazioni al primo paese che incontreremo e nel frattempo apriamo il gas e ci divertiamo fra mille curve e mille drittoni in salita e in discesa. Lungo il percorso veniamo superati da due enduristi che corrono come matti, manco avessero il diavolo alle calcagna... ma li perdoniamo perchè comprendiamo che quasi sicuramente si stanno allenando per qualche gara; questa zona si presta infatti molto bene a questo genere di sport, poichè essendo praticamente disabitata non si corre il rischio di disturbare anima viva! Li incontriamo di nuovo dieci minuti dopo, all'unico bar di Taccone, dove scambiamo due chiacchiere con il barista e naturalemnete anche coi "colleghi". I due sono di Andria e si scusano per non averci salutato in pista e per averci superato così frettolosamente; il barista invece ci racconta che le case che abbiamo visto sono state costruite durante il governo De Gasperi, nel dopoguerra, per la campagna di Riforma Fondiaria che toglieva i terreni ai latifondisti per consegnarli ai contadini. Ma aggiunge anche che ora sono tutte abbandonate perchè la gente della Basilicata, se non la si tiene sotto mira col fucile, non fa quello che le si chiede di fare. Restiamo perplessi nell'udire tale dura affermazione, domandandoci naturalmente dove stia la verità in questa faccenda e valutando comunque che non deve essere semplice vivere in luoghi così isolati ai giorni nostri. Considerate che noi abbiamo impiegato quasi due ore per arrivare fino a qui, ovvero al primo centro abitato; là in mezzo non c'è veramente nulla, solo campi coltivati e basta. Sfido chiunque, fucile o no, a vivere là oggi. Ovviamente i contadini hanno preferito trasferirsi nei centri abitati dove almeno c'è un qualche sentore di vita, di comunità, di società, e poi si recano a lavorare i campi come veri e propri pendolari. Forse in un futuro, al momento ancora lontano, ci sarà un ritorno alla campagna, una sorta di fuga dalle città, un po' come è successo nelle regioni più a nord, basti pensare alla Toscana, ma per ora la situazione è questa, un angolo di mondo perso nel tempo e nello spazio, dove l'unico rumore è quello del vento e il solo movimento quello delle ali di uccelli rapaci che si librano leggeri sopra di noi.
Riprendiamo la strada e ci fermiamo a Tricarico, dove pranziamo sui tavolini all'aperto di uno dei bar della piazzetta; la giovane barista sospira e dice che verrebbe tanto volentieri via con noi, un giovane cliente ci racconta che stanno costruendo una pista da cross lì vicino e che l'anno prossimo se tutta andrà bene si comprerà anche lui la moto ed un secondo ancor più giovane cliente ci rattrista con la sua storia: era un trialista ed ha smesso il giorno in cui si è fratturato bacino e femore; il vedere le nostre moto gli fa male perchè il fuoco della passione in lui è ancora acceso... coraggio, lo consoliamo noi, sei ancora molto giovane e hai tutta la vita davanti, ricordati che "volere è potere"... E con questa meravigliosa perla di saggezza che ancora ci aleggia attorno, buttiamo la gamba oltre la sella della moto e con un ultimo saluto da "chi ha ormai fatto il proprio tempo" partiamo verso nuove avventure... ma imbocchiamo subito una pista sbagliata... e dopo pochi minuti torniamo verso la piazzetta con la coda fra le gambe... facendo meno rumore possibile per passare inosservati. Bene, nessuno in vista, siamo salvi!! Ora non sbagliamo ed una bella pista ci conduce sempre più in basso verso un fiume. Dopo una curva incontriamo un'automobile della forestale con tre guardie: grandi saluti, sorrisi e complimenti e ci indicano la strada migliore per arrivare dove ci proponiamo! Ci incastriamo in un uliveto tagliato a metà da un torrente ma poi finalmente raggiungiamo un cancello che richiede tutto il nostro sforzo mentale per essere aperto... un ingegnere nucleare ci voleva... e poi che serve solo a non fare uscire le bestie, mah...
Sul far della sera arriviamo in vista delle appuntite guglie delle Dolomiti Lucane, le propaggini meridionali dell'Appennino, un insieme di antichissime arenarie che accolgono incantevoli villaggi come quello cui siamo ora diretti, Castelmezzano. Vi giungiamo seguendo l'asfalto, ma la vista che ci accoglie ci lascia senza fiato: le case sono così "accucciate" fra le rocce che danno l'impressione di essere tanti bambini che si fanno piccini piccini in grembo ad una mamma grande e protettiva. Le luci del paese si stanno accendendo proprio ora e la grande stella cometa illuminata, appesa a metà fra due picchi, aggiunge un'altra immagine suggestiva, quella di un grande presepe. Il nostro corpo è infreddolito, ma non altrettanto il nostro cuore, che di fronte ad uno spettacolo simile è caldo e sereno.
Alloggiamo in un bell'albergo dall'altisonante nome di Locanda del Castromediano, annesso all'ottimo e ricercato ristorante Il Becco della Civetta, dove naturalmente ceniamo dopo una passeggiata fino al castello arroccato nel punto più alto del paese. Superato il castello si sale su un roccione illuminato e da qui si gode dello spettacolo magico sul paesino ai nostri piedi. Da qui parte il "volo dell'angelo" per coloro che in estate hanno voglia di sfidare le vertigini attaccati ad un cavo d'acciaio che collega Castelmezzano a Pietrapertosa, appena visibile al di là della valle. Fa molto freddo e soffia un vento gelido, così lesti scendiamo per rifugiarci in un bar dove bere un aperitivo. Il locale è molto frequentato dalla gente del posto che, incuriosita dai due forestieri, ci riempie di domande; pare che ognuno di loro abbia almeno un parente a Bologna ed anche la barista, che trova il tempo per scambiare qualche parola con noi, ha una sorella nella nostra città.
A cena siamo soli in una bella saletta molto intima; il ragazzo che ci serve non porta mai via le posate ogni qualvolta cambia i piatti, ed è così che quando arriviamo ai contorni contiamo qualcosa come sette forchette e quattro coltelli sul tovagliolo! La cosa incredibile è che lui non se ne accorge mai e noi fatichiamo terribilmente a non scoppiare a ridere di fronte a lui... cosa che regolarmente facciamo appena ci lascia soli, con le lacrime agli occhi!
Il mattino successivo, a causa del freddo e del ghiaccio che ricopre ogni cosa, riusciamo a partire solo verso le otto e trenta. Le nostre moto sono parcheggiate all'aperto, sotto uno splendido cartello "obbligo di catene a bordo". Senza catene e battendo i denti mettiamo in moto e ci dirigiamo decisi verso una mulattiera alle porte del paese: si chiama "la via delle sette pietre" e dopo il nostro passaggio diventerà "e dei mille nomi". Splendida nei mesi estivi, queste curve di insidiosi gradoni in discesa completamente ricoperti di ghiaccio ci fanno vedere oggi i sorci verdi... per fortuna a metà optiamo per girare le moto e risalire, anche perchè non sappiamo cosa ci aspetta più giù e dunque è meglio non rischiare!
L'asfalto ci porta a valle e qui imbocchaimo un torrente che ci porta esattamente sotto la via delle sette pietre, che impariamo chiamarsi così per la presenza nel bosco di un cerchio di pietre poste verticalmente sul terreno, quasi fossero un moderno dolmen esoterico. A questo punto percorriamo alcuni campi restandone ovviamente ai bordi, nel tentativo vano di raggiungere Pietrapertosa. Torniamo dunque al torrente, lo seguiamo per un altro tratto e poi salitone fangoso fino alle porte del nuovo paese. Da qui prendiamo una splendida pista che ci porta verso Accettura. Il panorama vastissimo si fa all'improvviso anche candido, c'è neve qui! Lungo tutto il crinale troviamo uno strato di neve fresca che rende difficile l'arrampicata, specie per le gomme poco tassellate della Scorpa. Il panorama è magnifico, accanto alle tracce delle nostre gomme i segni delle zampe di qualche animaletto passato in precedenza, il silenzio tipico dei luoghi innevati. Ma dopo aver seguito un discreto tratto purtroppo dobbiamo rinunciare perchè le salite si fanno più ripide e la moto da trial non ce la fa, ed è così con grande rammarico che dobbiamo oggi cambiare ancora una volta il nostro programma. Breve tratto di asfalto poi per fortuna di nuovo sulla terra, anzi sul fango, in discesa, quindi su fondo più solido fino ad Accettura. Qui pranziamo con un prodotto per noi davvero nuovo: una focaccia con le cicciole spolverata di zucchero... strana ma gustosa! Quando torniamo in sella il cielo è tutto coperto ma per fortuna fa meno freddo. Facciamo molti tentativi per cercare di raggiungere il fiume che si trova nella vallata ma altrettante sono le rinunce, o per troppo fango o perchè le piste non esistono più. Restiamo sempre in sella, zero riposo fino al mare, a Scanzano Ionico, dove alloggiamo all'hotel Miceneo Palace, enorme e vuoto. Arriviamo col buio e dopo un bagno bollente e ristoratore tentiamo un giretto in paese, ma il gelo e la desolazione della stagione invernale ci raffreddano l'animo così corriamo di nuovo all'albergo per la cena e poi ci infiliamo veloci sotto le coperte!
L'ultimo giorno dell'anno, dopo le foto di rito sulla spiaggia, ci vede corerre spensierati su ampi ghiaiatoni lungo il fiume: sole, ghiaia e pietrisco, enormi pozze che Taddy prende sempre nel mezzo mentre io tento di evitare con delicate onde, e migliaia di fichi d'india che tanto ci ricordano la Spagna del sud. Entriamo così nel Pollino, seguendo piste scorrevoli con viste mozzafiato prima su un lago e poi sulle cime innevate. Attraversiamo un'ampia vallata seguendo un ponte semi crollato e la suggestione del luogo ci affascina; sostiamo sul ponte ammirando il letto del fiume sul fondo del quale giacciono molti ruderi di case, il terreno crepato come se fossimo in un deserto.
Mentre percorriamo strade campestri in un'area dedicata agli allevamenti ovini, ad un certo punto mi accorgo che la leva della messa in moto della Scorpa non viene più verso l'esterno, rendendomi del tutto impossibile rimettere in moto. Orrore... come faccio adesso? Taddy dopo qualche tempo torna indietro e mi trova a scancherare contro la leva, che proprio non ne vuol sapere di spostarsi verso l'esterno, nè con le buone nè con le cattive. Fortunatamente ci viene in soccorso un signore timido e gentile: siamo vicini a casa sua e ci porta un grosso cacciavite con cui fare leva ma niente da fare. Allora usiamo le maniere forti, come soluzione ultima in un momento di necessità e urgenza! Prendiamo a mazzate la pallina con la mollettina che serve a tenere in posizione la leva stessa, questa esce e finalmente la leva è libera, un po' sbilenca ma libera... e io posso tornare ad usarla. Metteremo poi un pezzo di copertone usato come elastico per tenerla solidale al telaio mentre guido, altrimenti me la ritroverei sempre sul ginocchio. Il signore gentile ci rimane nel cuore: ci guarda silenzioso mentre lavoriamo, col sorriso tipico delle persone semplici, e quando gli chiediamo se passano spesso moto da lì ci intenerisce rispondendoci "Magari..." Eh sì, vive davvero in un posto desolato, in compagnia solo delle sue pecore, povera anima, chissà che voglia ha di un poco di compagnia...
Riprendiamo la strada e lungo un sottile asfalto Taddy si accorge di aver forato la gomma posteriore dell'XR... oggi non è proprio giornata! Sosta per riempire di schiuma la camera d'aria poi si riparte. Dopo qualche metro sempre Taddy, nel tentativo scomposto di controllare se ha rimesso il tappino sulla valvola, perde l'equilibrio e sfrombola per terra... oh santo cielo... che giornatina!!
Giunti a San Brancato pranziamo con panini di porchetta e sono già le tre del pomeriggio. La sosta perciò è molto breve e ripartiamo seguendo una pista sopraelevata che segue il corso di un fiumiciattolo, poi una pista così dritta che io per poco non mi addormento sulle pedane; incontriamo un uomo a cavallo che per fortuna rappresenta una rottura della monotonia e dunque mi sveglia, quindi attraversiamo pozze melmose e scivolose che destano del tutto i nostri sensi. Dopo alcune rinunce per piste che finiscono in campi o per la presenza di sbarre, col buio che ormai inghiotte ogni cosa riusciamo ad arrivare a Tursi. Al benzinaio dove sostiamo per fare il pieno alle moto io sono così stremata che la moto mi cade per terra da ferma non una... non due... bensì tre volte.... sotto lo sguardo allibito di una decina di persone che sono certa starà pensando "Ah, le donne... vogliono fare come gli uomini e poi guarda lì... manco la riescono a tenere in piedi la moto..." oddio che figuraccia!!! Vabbè, la sola cosa importante ora è riuscire a tenere botta per qualche chilometro ancora, poi il riposo e domani sarò come nuova! Ed è così che risalgo in sella e metto in moto tutta cattiva, poi faccio per partire, dò gas ma il motore ha un vuoto improvviso e perdo l'equilibrio rischiando di cadere per la quarta volta... non ne può più neanche la povera Scorpa!
Con le ultime forze giungiamo infine nel piccolo e graziosissimo Borgo Rabatana, proprio sopra a Tursi: parcheggiamo le moto appoggiandole al muro del Palazzo dei Poeti, l'unico albergo del borgo, quasi un albergo diffuso dal momento che il proprietario sta cercando di comprare vari appartamenti da annettere al suo complesso turistico. Il luogo è incantevole ma io dopo la doccia mi accuccio sotto le coperte nella stanza gelata. Devo riprendere un po' le forze, questa sera ci sarà il cenone dunque dovremo aspettare che arrivino gli altri ospiti e non si inizierà la serata prima delle nove... notte fonda per noi, abituati come siamo a cenare presto ed andare a letto prestissimo!
Fortunatamente il gestore dell'albergo ci ha concesso un menù per una persona da dividere in due, perchè non siamo grandi mangiatori e infatti a metà della cena siamo comunque costretti a dire basta e a rinunciare alle altre portate! La serata ad ogni modo è molto piacevole, davvero degna di un posto come questo: abbiamo una bella nicchia tutta per noi, intimissima e a lume di candela, le luci sono soffuse in tutto il locale e sebbene ci sia parecchia gente il brusio non è fastidioso. Un oratore molto bravo cita versi in dialetto che vengono poi tradotti, narra storie di questa terra, di questo borgo e noi tutti lo ascoltiamo assorti, fra una portata e l'altra. Ricordo in modo particolare il piccolo ma delizioso spiedino di baccalà con tortino di patate, la lonza di maiale, il risotto gamberi e arancia, l'orata in crosta di melanzane con tortino di spinaci e carote... giunti al sorbetto stiamo per scoppiare e ci fermiamo! Gli altri ospiti proseguiranno con cotecchino e lenticchie, torta e panettone. A mezzanotte usciamo nelle vie del borgo per qualche piccolissimo e silenzioso fuocherello artificiale, un brindisi veloce per il freddo birichino e poi noi andiamo a dormire mentre la festa prosegue senza disturbarci troppo.
Il primo giorno del 2012 ci vede nuovamente in sella alle nostre fedeli moto; alle sette in punto, dopo una breve colazione fredda sotto le coperte, ci spostiamo un poco dall'abitato ed eseguiamo la manutenzione ordinaria alle moto. Poi seguiamo lunghe piste in collina con bellissimi panorami fino al borgo disabitato di Craco, un villaggio fantasma molto suggestivo, che sorge sulla sommità di una collina che sta lentamente franando. Splende un bellissimo sole e l'aria si scalda percettibilmente.
Una lunga pista larga ci accompagna fino a Ferrandina, dove prenziamo velocemente in un bar che ci offre le rimamenze di ieri; oggi infatti i locali sono e resteranno chiusi, questo è il solo bar aperto e ci dobbiamo accontentare di tre pastine salate in due! Compriamo anche un ulteriore litro d'olio motore per le moto, che purtroppo hanno i motori che ne consumano parecchio; terminato questo giro andranno entrambe dal meccanico per un assolutamente necessario "ringiovanimento"!
Splendide piste scorrevoli nel sottobosco prima e in aperta campagna poi ci conducono decise verso Matera, la famosa ed unica città dei Sassi, patrimonio dell'umanità e pregevole esempio di trasformazione urbana, da povera e vergognosa a ricca ed orgogliosa!
Arriviamo in vista della parte vecchia della città sul far della sera, quando la luce del tramonto dipinge di rosso le abitazioni, le mura e le chiese. C'è poca gente in giro e si respira un'aria tranquilla. Cerchiamo la Locanda di San Martino, un albergo costruito nel tufo, un esempio sorprendente di come le antiche abitazioni in cui un tempo vivevano a stretto contatto uomini e bestie sia potuto diventare un apprezzato e lussuoso insieme di camere per i turisti esigenti di oggi. Ogni camera affaccia su un corridoio esterno che si arrampica con brevi scalinate sul fianco della collina, bordato da un muretto che dà direttamente su un angolo suggestivo dei Sassi; restiamo incantati qualche minuto affacciati al muretto prima di spogliarci, lo spettacolo della luce del giorno che muore e delle luci artificiali che si accendono è fantastico, Matera si trasforma lentamente in un grande presepe vivente!
Quando ci decidiamo ad entrare nella camera che ci è stata assegnata, restiamo incantati: che meraviglia! Si tratta di una piccola camera col soffitto e le pareti di tufo grezzo, arredamento semplice ed essenziale ma di grande effetto, sulle pareti sono state ricavate delle nicchie irregolari che accolgono l'armadio, i comodini e delle mensoline per le lampade. La stanza da bagno è enorme, grande quasi quanto la camera e ci abbaglia la visione di una vasca da bagno dove ci immergiamo felici spogliandoci in fretta per entrare per primi nell'acqua calda!! Qui immersi, la tensione del viaggio ed il freddo accumulato lentamente scemano e lasciano posto ad uno straordinario rilassamento. Ora che siamo puliti ci concediamo una chicca offerta dall'albergo: la sauna e le vasche idromassaggio ricavate dalle cisterne di raccolta dell'acqua piovana dell'antica Matera, vasche che fanno parte di un immane ed incredibile sistema di raccolta delle acque che la città vanta come retaggio storico culturale da custodire con cura e da far conoscere a tutti. L'atmosfera qui sotto è dolce e surreale, le luci colorate donano un tocco di fantasia all'ambiente antico e saturo di vapore, nuotare o semplicemente lasciarsi massaggiare dai getti in queste acque limpidissime ci rimbambisce completamente e quando usciamo sembriamo due zombie... ma come stiamo bene.......
Pronti per una bella cena! Usciamo a piedi e camminiamo a lungo sulle vie ciottolate della parte più antica della città vecchia, il Sasso Caveoso, in salita e in discesa stando bene attenti a non scivolare sulle pietre levigate da decenni di passaggio; scorriamo sotto torri e chiese, case in via di ritrutturazione, ponticelli, archi in un susseguirsi incantevole di antri e piazzette che non stanca mai. Alla fine però ci stanchiamo per davvero e decidiamo di bere una birra in un locale abbastanza moderno, poi ci concediamo una pizza in un locale caratteristico, costruito naturalmente nel tufo, uno splendido intrico di stanze e stanzette con pareti rotondeggianti, nicchie, finestrelle, soffitto altissimo, scalette in miniatura ed una pizza squisita! Il locale si chiama O'Mami ed è gestito da napoletani.
Il giorno successivo ci serve per ridare una forma rotonda al nostro sedere, diventato quadrato dopo tanti giorni in sella!! Sveglia con calma quindi, ottima ed abbondante colazione con mille sfizioserie locali, come gli spicchi di ricotta salata con confettura dolce. In seguito usciamo nella splendida luce del giorno e sotto un sole abbagliante ci apprestiamo a scendere nel canyon scavato nei millenni dal fiume che vi scorre dentro e che risulta oggi bello pienotto in diversi punti. La vista sui Sassi dal fondo del canyon è meravigliosa; la posizione della città è davvero strategica e il colore delle abitazioni la mimetizza completamente nella natura circostante. Tentiamo il guado del fiume per risalire il canyon sul lato opposto e godere così di una vista nuova sulla città, ma l'acqua è profonda e c'è parecchia corrente perciò desistiamo. Tornati all'albrego prendiamo l'XR e ci dirigiamo verso un parcheggio situato proprio alla fine del sentiero che avremmo voluto seguire risalendo dal fiume. Lasciata la moto camminiamo sul sentiero a ritroso verso il fiume fino a raggiungere alcuni grottoni che accolgono chiese rupestri: da qui la vista sui Sassi Caveoso e Barisano è qualcosa di emozionante...
Tornati poi a Matera visitiamo la zona dei Sassi dove sono state mantenute inalterate le condizioni delle grotte dove uomini e animali vivevano insieme fino agli anni cinquanta. Rivisitando brevemente la storia di Matera, si nota in realtà come essa fosse fin dall'antichità una città ricca e fiorente, dove la popolazione viveva sì in grotte ma trasformate sapientemente in vere e proprie case, arricchite da piccoli giardini pensili e altresì munite di una rete idrica e fognaria di tutto rispetto. Era talmente prospera che fu addirittura capoluogo della Basilicata per ben 140 anni. Ma poi la popolazione iniziò a crescere in modo spropositato e le famiglie si ritrovarono a vivere nelle stesse grotte in numero sempre più elevato, finchè la gente dovette iniziare ad occupare anche le grotte inizialmente destinate agli animali. Matera inziò il suo declino che la portò a divenire uno dei luoghi più miseri dell'intera pensiola. Fu grazie alla denuncia di Carlo Levi che le autorità negli anni cinquanta presero seri provvedimenti per trasformare quella che era considerata una vera vergogna per l'Italia in una città che potesse tornare bella e vivibile. 15000 persone furono spostate dalle grotte ad abitazioni costruite dallo Stato e nel 1993 i Sassi furono proclamati patrimonio dell'umanità dall'Unesco. Passando accanto alle grotte oggi non è facile immaginare lo stato di immensa povertà in cui le famiglie che le abitavano versavano una volta; oggi sono infatti illuminate da un bel sole, vuote, pulite, con una vista splendida e danno l'impressione di essere tutto sommato un buon posto dove vivere. Ma la storia non deve essere dimenticata...
Il 3 gennaio montiamo di nuovo in sella e mentre ci allontaniamo lentamente da Matera ne abbiamo già grande nostalgia. Abbandoniamo in breve l'insipida Matera moderna e percorriamo a ritroso la bella pista che ci ha condotto qui due giorni fa, un ultimo sguardo alla gravina con i Sassi sulla sinistra e poi ci lanciamo lungo belle piste scorrevoli dove finalmente apriamo un po' il gas: fondo di terra secca e di roccia, salite tutte curve con le moto sempre in tiro, divertimento a mille! La nostra attenzione torna vigile ogni volta che ci si presenta una curva in ombra, dove l'insidiosissimo fango è sempre in agguato: allora si scalano un paio di marce, si contrae la muscolatura di braccia e spalle per meglio controllare l'anteriore, ci si lascia scivolare elegantemente sul fango, quindi si dà gas di nuovo, si tira la marcia, si sale di una poi di un'altra e si torna a correre e volare sulle pietre! Che adrenalina, che spettacolo, questo sì che è enduro... noi e la nostra moto, noi che siamo la nostra moto... lei che obbedisce docilmente ai nostri comandi, che traduce in energia cinetica ogni più piccolo spostamento del nostro corpo. A noi la bravura, dettata soprattutto dall'esperienza, di condurla sempre lungo la traiettoria migliore... o perchè no... talvolta anche lungo quella peggiore... se ciò che andiamo cercando è una sfida per noi o per lei!!!
Siamo entrati in Puglia e le nostre quattro ruote percorrono piste che lambiscono splendide masserie, dove pastori gentili ci salutano con le braccia alzate e bellissimi esemplari di cane pastore ci rincorrono abbaiando sonoramente e mordicchiando adorevolmente i nostri stivali!
Attraversato il piccolo abitato di Ginosa troviamo subito il viottolo che ci conduce direttamente nel letto del fiume; questo ha scavato nei secoli un canyon profondo le cui pareti sono in taluni punti spettacolarmente a picco, levigatissime e con spaccature verticali davvero pittoresche. Le casette di Ginosa si affacciano spesso sul fiume e guardandole dal basso percorriamo lunghi tratti di sassi e grosse pietre che ci rallentano ma ci divertono, poi di ghiaino veloce, quindi guadagnamo l'asfalto. Nuove piste ci accolgono presto, nella campagna cosparsa di ulivi ed enormi fichi d'India; ancora lungo un fiume a bordo campo, quindi bellissima mulattierina in salita sotto un bosco, infine una serie di piste con impressa a terra l'inconfondibile traccia del tassello. In un punto siamo obbligati a sostare qualche tempo per ricostruire un saltone che si farebbe abbastanza agevolmente in discesa ma che in salita risulta ostico specie per l'XR così carica.
Ci concediamo un pranzo frugale in un bar di Palagianello dove alcuni passanti si fermano incuriositi da questi due strani e sporchissimi pellegrini. Sorsi ghiacciati di ottima birra Raffo, di produzione pugliese, scendono a rinfrescarci la gola. Il clima in effetti oggi è eccezionale: siamo seduti all'aperto e ci godiamo il soave tepore invernale del sud!
Nel pomeriggio percorriamo piste campestri fiancheggiate senza quasi soluzione di continuità dai tipici muretti a secco che rendono unico questo paesaggio. Poi, all'improvviso, ecco comparire ai nostri occhi avidi di novità i primi dolcissimi trulli, costruzioni tipiche della zona intorno alla famosissima Alberobello. Costruiti interamente a secco, i trulli sono formati da un muro a base circolare o quadrangolare che racchiude una camera, sormontata da un tetto a forma di cupola (dal greco trùlos); in essi trovavano rifugio i fattori che coltivavano la terra. Sono spesso sormontati da pinnacoli che riproducono simboli ancora oggi immersi nel mistero: secondo alcuni sarebbero simboli magici ed esoterici legati al culto del Sole, secondo altri sarebbero semplici ornamenti o ancora il marchio del maestro trullaro che ha eseguito l'opera. I primi che incontriamo lungo il nostro percorso ci emozionano al punto che facciamo soste piuttosto lunghe per fotografarli: li riprendiamo da diverse angolazioni, con le moto, senza le moto, dal basso, di fronte... sbizzarendoci come bambini golosi di fronte ad un bel gelato. Ma la giornata volge quasi al termine e la meta serale è ancora lungi dall'essere vicina, dobbiamo muoverci! Guidiamo con gli occhi fissi ai lati delle piccole ma graziosissime piste sterrate che tappezzano inaspettatamente questa zona. Entrambi siamo daccordo sul fatto che i trulli più incantevoli sono quelli mezzi diroccati e semi distrutti, immersi in una vegetazione esuberante che tende a ricoprirli, mentre loro continuano impassibili ad allungare verso il cielo i loro tetti appuntiti. Notiamo che alcuni di essi recano un disegno a calce che, scopriremo più tardi, potrebbe rappresentare il frutto di uno degli antichi riti (addirittura primitivi) tramandati di padre in figlio e per questo giunti sino a noi.
Mentre le nostre ombre inziano ad allungarsi e i colori dei mille fiori bianchi, arancio e gialli si fanno via via più intensi, continuiamo a macinare chilometri fino a giungere nel bel mezzo di un complesso di trulli a dir poco sbalorditivo. I trulli sono disposti in fila, uniti fra loro a disegnare una sola struttura lunga e favolosa; parlando con la sola persona che si aggira da queste parti impariamo che è in vendita! Aggirandoci a piedi fra le varie costruzioni che completano il complesso, fantastichiamo sulla possibilità di comprare insieme ad amici la struttura e trasformarla in uno splendido agri-endurismo dove accogliere turisti amanti della natura e dell'enduro... ma come impariamo che la cifra richiesta è pari a un milione di euro il sogno svanisce in un "puff"... Risaliamo allora sulle piccole moto, direzione: Alberobello!
Divincolandoci in un susseguirsi labirintico di piccole piste erbose strette fra muretti a secco sempre più presenti, entriamo finalmente ad Alberobello, dove restiamo subito abbagliati dal candore delle case e del fondo stradale del Largo Martellotto. Dopo le brevi pratiche presso l'ufficio di Trullidea, sistemiamo le moto sotto il trullino numero 19 ed entriamo nella penombra della cameretta. E' spartana e fredda ma siamo emozionati all'idea di poter dormire in una struttura tanto antica! Ci spogliamo, facciamo una doccia tiepida e ci infiliamo sotto le coperte per riposare un po' aspettando l'ora giusta per la cena.
Quando usciamo le stradine sono tutte bagnate per l'umidità che sta velocemente scendendo e laddove la pietra viva non ha ancora ceduto il passo allo sgradevole asfalto il rischio di scivolare è davvero alto! Siamo molto stanchi e rimandiamo a domani la visita al paese, optando per cenare nel locale Miseria e Nobiltà che sorge sulla piazzetta della parte nuova di Alberobello: taralli sfiziosi, burratina che si scioglie in bocca e risotto con seppioline e curry speziato e piccantino.
Il giorno successivo ci vede girovagare nelle stradine fra i trulli, salendo e scendendo nei rioni dei Monti e Aia Piccola; molti dei trulli sono ancora in ombra mentre i negozietti per turisti iniziano ad aprire. Alberobello nacque grazie al coraggio di alcuni fattori che decisero di costruire i loro trulli in un agglomerato anche se questo era proibito dalle leggi in vigore; i fattori infatti erano autorizzati a costruire i trulli a patto che questi rimanessero isolati gli uni dagli altri per non incorrere nel pagamento da parte dei signori della terra (gli Acquaviva, Conti di Conversano) del tributo previsto dalla Prammatica dei Baronibus. Nel 1797 alcuni alberobellesi si recarono presso Ferdinando IV di Borbone che diede loro ascolto e proclamò il villaggio finalmente "libero". Oggi questa magica distesa di trulli è considerata patrimonio dell'umanità dall'Unesco!
Adoriamo l'idea di trovarci qui... ma nel nostro cuore rimpiangiamo i trullini "selvaggi" della campagna attraversata ieri sera. E' quello il ricordo più dolce che ci porteremo dentro della Puglia di Alberobello...
Assaporiamo delle mozzarelline seduti al sole su una panchina, compriamo taralli e amaretti morbidi poi rientriamo al nostro trullino dove saliamo entrambi sull'XR. Ci facciamo un giretto nel circondario, fermandoci qualche tempo a Locorotondo, chiamata così per via della sua pianta circolare, e a Cisternino, candido agglomerato che si affaccia sull'ampia Valle d'Itria. Qui, mentre un vento gelido spazza le vie e ci fa alzare i colletti delle giacche a vento, passiamo accanto alla Taverna della Torre che ci attira al suo interno come il canto delle Sirene. Ottima scelta! Ambiente caldo e familiare, ospitalità cortese e mai invadente, cibo sopraffino e buon vino... e la giornata si scalda all'improvviso!
Il 5 gennaio riprendiamo la strada. Subito ci incastriamo fra le bancarelle del mercato del giovedì, dove uno degli espositori ci grida dietro "ma guarda quanto sono zozzi questi qua...ah zozzoniiiiiiiii" quindi ci aspetta un lungo trasferimento su asfalto verso il materano. Quando però sulla sinistra si profila la spaccatura della gravina con le casette di Matera, prendiamo una pista sulla destra che si rivela bella e scorrevole. Attraversiamo un'estesa campagna movimentata da morbide colline; una serie di casette solitarie in vario stato d'abbandono concorre a rendere leggermente malinconico il paesaggio.
Arriviamo in vista di Gravina in Puglia ed entriamo in paese in modo spettacolare. Dapprima seguiamo in discesa una lunga ed antica mulattiera ottimamente conservata, con la quale attraversiamo una coppia di binari non protetta da sbarre o segnalatori, quindi giungiamo sul bordo del canyon che ci separa dal paese; qui sostiamo per ammirare la vista dall'alto sul paese stesso e sullo splendido ponte in tufo che poi percorriamo per entrare direttamente in paese.
Proseguiamo quindi verso nord, nel nostro lento rientro verso il punto da dove tutto cominciò undici giorni fa. Seguiamo piste ben tenute perchè regolarmente frequentate dai mezzi agricoli e dagli enduristi locali, lo si evince naturalmente dai segni impressi sul terreno morbido. Incontriamo molti gruppetti di case tutte uguali, con porticato ed arco, scorrendo sui poderi San Paolo, San Salvatore, San Domenico... come lo sappiamo? sul muro della maggior parte di queste casette resiste ancora la scritta a caratteri cubitali RIFORMA FONDIARIA PODERE S. PAOLO seguita da un numero che probabilmente fa riferimento ad un censimento, per esempio 164/2751. La Riforma a cui si fa riferimento è naturalmente ancora quella De Gasperi del primo dopoguerra.
Oggi il freddo è pungente anche se il sole ci tiene costantemente compagnia; il terreno si fa via via più duro e possiamo così mantenere andature più allegre. A Poggiorsini sostiamo per il pranzo: braciole e parmigiana di melanzane da leccarsi i baffi!
Nel pomeriggio, sotto un cielo che si sta velocemente coprendo di grossi e minacciosi nuvoloni neri, saliamo sul magico altopiano delle Murge che percorriamo in lungo e in largo divertendoci molto su piste scorrevoli dove poter aprire il gas, gettando il corpo ora internamente - da crossisti - ora esternamente - da trialisti - alle frequenti curve. Le piste interrompono immense distese di campi che si allungano a perdita d'occhio, dalla loro terra scura spunta una tenera erba color verde smeraldo e sopra di essa giacciono piccoli frammenti di roccia bianca. E' questa una delle caratteristiche sostanziali dell'altopiano delle Murge, una terra battuta da un vento freddo e costante, costituita da campi coltivati, pascoli, boschi di sempreverdi ed enormi pietroni chiari. Unico rimpianto quello di non aver mai avvistato il cavallo murgese, la razza equina che fra tutte prediligo: splendidi esemplari dal manto nero così lucido e intenso da sembrare blu, dall'altezza imponente che può arrivare facilmente ai due metri al garrese e dall'indole così docile che è possibile cavalcarne anche gli stalloni...
Dopo circa due ore di Murge, come per incantesimo spunta verso oriente l'incredibile struttura ottagonale di Castel del Monte, il misterioso ed affascinante castello voluto da Federico II, lo stesso che troviamo sulle monete da un centesimo di euro. Svetta dalla cima di una collina interamente ricoperta di pini; ai suoi piedi ci sono alcuni esemplari di pino marittimo dal fusto così esile che svanisce nella bruma della lontananza, mentre la chioma si allarga orizzontalmente e sembra sospesa, tanto che si ha la netta sensazione di trovarsi di fronte ad un miraggio: BELLISSIMO!
Arriviamo al parcheggio off road, seguendo le tracce lasciate sul terreno da altri enduristi, uscendo con un saltino dalla pineta direttamente sui piedi del parcheggiatore! Purtroppo le condizioni metereologiche non sono favorevoli, c'è poca luce perchè il cielo è completamente coperto e lo splendido castello non brilla come nelle immagini più famose che lo ritraggono ma sorge severo e arcigno in cima alla scalinata. Una volta ai suoi piedi si respira un'aria strana, un misto di sacro e profano, di magia e concretezza. Una volta entrati nelle prime sale, ricche di materiale informativo e di guide che si propongono di accompagnarci, l'atmosfera si rovina leggermente, ma poi tutto torna fantastico come si esce all'aperto nel piccolo cortile interno e si guarda verso l'alto o come si entra nelle sale al secondo piano, immerse nella semi oscurità, appena rischiarata da una sapiente illuminazione che ne mette in risalto i particolari architettonici. Castel del Monte mantiene dentro di sè il segreto del motivo per cui fu costruito; pare infatti che non potesse in alcun modo assolvere alle più semplici esigenze di difesa o di abitabilià, tanto che furono prese in considerazione le teorie più diverse, ognuna delle quali considera le molte passioni dell'imperatore: la magia, l'astronomia, la matematica. Di certo oggi Castel del Monte appare ai nostri occhi come un imponente e squisito simbolo del potere imperiale.
Quando usciamo soffia un vento molto forte che ci spinge giù dalla gradinata rischiando di farci inciampare ad ogni passo, mentre il cappellino di una signora svolazza allegramente per finire chissà dove. Recuperate le moto ci dirigiamo in fretta all'hotel qui vicino, il Castel del Monte Park Hotel, dove siamo gli unici ospiti e il riscaldamento nella nostra stanza non ha voglia di partire. Cena abbondante e deliziosa (ricordo il pesce al cartoccio) e poi dritti sotto le coperte!
Le prime luci dell'alba ci trovano già svegli a guardare sconsolati fuori dalla finestra: piove a dirotto e il vento soffia ancora più forte di ieri. Optiamo per attendere un po' prima di partire, sperando in un cambiamento che però non arriverà, così alle dieci e trenta ci vestiamo e partiamo sotto l'acqua in direzione di Trani. Percorriamo senza scomporci piste su piste, procedendo con cautela per non scivolare sulle rocce bagnate e scivolose. Incontriamo molte costruzioni simili ai trulli ma più arrotondate e con elaborati pinnacoli sommitali. Galleggiamo sul fango e in alcuni casi ci scomponiamo allegramente su di esso, lanciando le gambe ai quattro venti nel disperato tentativo di mantenere l'equilibrio.
Sul far del mezzogiorno il maltempo ci delizia con una rumorosa grandinata, ma dato che non troviamo alcun rifugio e che siamo abbastanza vicini a Trani proseguiamo comunque il nostro viaggio. Entriamo così in città, zuppi fino al midollo, e ne percorriamo le vie alluvionate fino a raggiungere il mare sulla Piazza del Duomo, dove sorge la maestosa candida cattedrale; ci fermiamo a fotografarla sfidando la violenta pioggia e la furia del vento che soffia furibondo, gonfiando il mare che appare talmente tempestoso da mettere paura solo a guardarlo.
Troviamo rifugio in un ristorante sciccosissimo proprio sulla piazza e ci rimpinziamo di ottimo pesce senza pensare agli indumenti fradici che fra poco saremo costretti ad indossare nuovamente. Telefoniamo ai nostri amici di Foggia e ci accordiamo per trascorrere la serata assieme a loro. Nel pomeriggio ci attende un lungo, noioso e bagnatissimo trasferimento su asfalto fino a Foggia, dove parcheggiamo le moto nel parcheggio dell'Hotel Europa vicino alla stazione dei treni. Dopo una doccia calda raggiungiamo gli amici e diamo inizio alle danze: aperitivo fra noi e poi mitica cena in famiglia assaporando ancora meravigliose pietanze cucinate con arte e passione tipiche pugliesi!
Al mattino fortunatamente splende il sole, ma il terreno è fradicio e il vento non accenna a scemare. Partiamo verso le otto e trenta e subito cominciamo a lottare contro una specie di bora: le campagne attorno a Foggia sono sferzate da folate lunghe e micidiali, io mi diverto ad osservare il mio compagno di viaggio davanti a me, inclinato di 45 gradi rispetto alla strada e mi viene da ridere pensando che se per un qualche motivo il vento dovesse cessare all'improvviso un bel tonfo per terra sarebbe inevitabile!
Se l'esperienza risulta divertente sull'asfalto, la cosa cambia decisamente sulle piste dove veniamo regolarmente sospinti lungo traiettorie improbabili, per esempio proprio al centro di enormi pozze, con l'acqua che ci arriva comodamente fino alle ginocchia! Escogito allora un modo per evitare di bagnarmi ogni volta come un pulcino, alzando le gambe e tenendole larghe e sospese mentre supero le pozze... ottenendo come risultato che oltre ai piedi ora mi bagno anche l'interno delle cosce... un genio! Tento allora in modo diverso: quando entro nelle pozze tendo le braccia, butto indietro la schiena, sollevo le gambe e le chiudo, appoggiando i piedi sul serbatoio e le ginocchia sotto al mento... in effetti più che una motociclista sembro la cavallerizza di un circo in procinto di eseguire un salto mortale per poi atterrare nuovamente sulla sella... ma almeno così non mi bagno e dunque mi ritengo soddisfatta!
Lottiamo col vento tutta la mattina e pranziamo in un pub a Santa Croce di Magliano.
Nel pomeriggio ci attendono altri cinquanta chilometri misti asfalto e sterrato e poi giungiamo infreddoliti e completamente fradici all'hotel dove è parcheggiata la nostra auto. Carichiamo le moto sul carrello dopo averle immortalate con la macchina fotografica... poverette, sono a pezzi ma si sono comportate bene! Quindi ci cambiamo gli abiti sotto l'acqua ed entriamo in auto. Prima di girare la chiave, una volta chiusi gli sportelli, restiamo alcuni minuti in silenzio a ripensare a questo grande viaggio enduro, felici, soddisfatti e orgogliosi di aver portato a termine un altro importante tassello esplorativo per il nostro futuro e grandioso Giro d'Italia Enduro...

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